Virtual CarBerman Autostyle 2018

Speciale Autostyle 2018

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a cura di Sergio Chierici e Anna Caprioli


Autostyle 2018: 15 anni di festa del design

Autostyle 201819 ottobre 2018: un po’ in ritardo rispetto a quanto preventivato, per dare tempo di terminare ai saloni internazionali, e Autostyle festeggia le sue prime quindici candeline, nel consueto clima amichevole e in una giornata quasi estiva. Una festa per vari motivi: ben sei conferenze, tenute da protagonisti del design automobilistico internazionale; tante vetture nel parco della villa di Porto Mantovano, sede dell’evento da alcuni anni; tanti giovani delle scuole di design o dedicate ai trasporti, dove troviamo i partecipanti al contest annuale, ma anche allievi di altre scuole, entusiasti di tutto il mondo del design motoristico. Tra i partecipanti, molte firme del design automobilistico, sia tra i responsabili e gli addetti dei centri stile, dove nascono vetture e prototipi internazionali, ma anche protagonisti della stampa, dello studio o della ricerca motoristica. D’altra parte, il professor Roberto Artioli gestisce da anni Berman Spa, una della più rinomate aziende di accessori o componentistica di serie per le case automobilistiche, da cui la naturale intuizione, da 15 anni, di realizzare un evento sul design, di volta in volta sempre più perfezionato e completo.

Non si poteva iniziare l’edizione 2018 senza un ricordo di Fulvio Cinti, scomparso lo scorso agosto: parole cariche di affetto e stima affidate alla nipote Marta, nel segno della rivista Auto & Design da lui fondata e diretta dal 1979 e oggi affidata a Silvia Baruffaldi. Un legame storico con Autostyle, che oggi continua con lo speciale “Premio alla creatività”.

Dopo le parole di Eric Dubois, collaboratore storico e fucina di idee per ogni versione di Autostyle, ha iniziato le conferenze Mitja Borkert trattando prima della storia di Lamborghini, di cui ha la responsabilità dello stile da qualche anno, passando in rassegna i principali motivi stilistici -oggi in gran parti debitori della linea ad arco e di forme e proporzioni della Countach di Gandini del 1971, ma anche di altre creazioni del passato, dagli esagoni della Marzal al concetto di mezzo estremo della LM2. Sono state quindi analizzate alcune vetture di recente presentazione, come la Super Trofeo Evo, la Performante spyder e la Aventador SVJ, per entrare nel dettaglio delle due vetture del parco di Autostyle: la SUV Urus, debitrice al tempo stesso degli stilemi di Countach e LM2, e il concept Terzo millennio, idea per una futuribile supercar elettrica, dallo stile fortemente ispirato all’aeronautica, con soluzioni modernissime realizzate anche in collaborazione con gli studenti del Mit. E guardando verso il futuro: non a caso, è stato mostrato un video con i commenti degli interessatissimi bambini davanti a una scuola di Sant’Agata.

Per Flavio Manzoni, questa edizione di Autostyle ha permesso di mostrare le immagini del nuovo Centro Design Ferrari di Maranello, che ha ora una struttura totalmente indipendente e dedicata solo al design. Un corpo in vetro fumé è coperto da un involucro di pannelli di vetro e rete metallica, creando sia il senso della segretezza proprio di un centro stile, ma anche particolari effetti di luce, anche notturni, e linee e superfici che ricordano quelle delle vetture di Maranello. L’edificio è in quattro piani -garage, reception e modelleria, uffici e modellazione virtuale più il reparto tailor made, e la sala presentazioni che comprende anche una terrazza esterna, per vedere, sempre in segretezza i modelli in anteprima alla luce del sole. La 488 Pista da 780 CV, il cui modello di stile era presente nel parco e alla quale è seguita a Pebble Beach la versione spider, propone le difficoltà di una vettura di serie ripensata in modo specifico per la pista, con le scelte aerodinamiche ancora più estreme, ma tradotte in un design e in un linguaggio specifico, dall’S-Duct che ha ridefinito completamente il frontale, alla scelta di accentuare i flussi di coda grazie all’alettone integrato ma sospeso. Diverso è il discorso delle Monza SP1 e SP2 presentate a Parigi, ma non presenti nel parco: l’architettura è il V12 anteriore portato a ben 810 CV, la filosofia è di non creare un modello per la pista, ma riscrivere la storia Ferrari attraverso specifici riferimenti di stile, ma in modo totalmente nuovo, al pari degli storici “carrozzieri”. Nella Monza è stato affrontato il tema della Barchetta, richiamando le vetture «a saponetta» o «ad ala spessa», ma sempre con modernità: si notano, ad esempio, il frontale generato dalla ripetizione, in sezione, della forma della bocca “a fusoliera”, i sottilissimi fari a presa d’aria, il volume a due gusci, con quello superiore flottante, che ha permesso anche di realizzare la luce posteriore come unico elemento luminoso di collegamento tra le due parti. Anche il posto di guida, eventualmente affiancato dal passeggero, è un cockpit nato quasi scavando la carrozzeria, con bridge centrale ed elementi in carbonio che permettono di avere più sostegno, e ricordano una vettura di formula: le Monza si guidano anche con casco e tuta specifiche, ma dispongono anche di un virtual windsceen, un flusso d’aria verticale in grado di contrastare ogni ostacolo almeno fino a 120 km/h.

Da Lamborghini e Ferrari, ad una vettura di grande serie, ma iconica: la Toyota RAV4, totalmente rinnovata nella sua quarta generazione. Tatsuya Sonoda, responsabile del design della RAV4 e chief designer del centro Toyota francese ED2, ha mostrato le linee guida che hanno portato la RAV4 a diventare da una piccola fuoristrada a tre porte dalle linee ben riconoscibili ad una vettura più grande e più vicina ad un moderno concetto di SUV, mettendo in evidenza le ruote grandi, la maggiore altezza da terra e l’utilità della zona posteriore. Dalle due idee originali -una più compatta e simile alla RAV4 originaria, e una più rifinita- si è giunti alla definizione di uno stile «Cross octagon»: l’intersezione di due ottagoni, uno orizzontale e uno verticale, per avere un frontale ampio e dai parafanghi generosi, e una coda ben definita in altezza e volumi, mantenendo un’originale sfaccettatura delle superfici. Da segnalare il frontale a trapezoide doppio -che diventa più marcato per la versione adventure, i proiettori dalle forme iconiche e la coda che punta verso l’esterno; per le tinte, è prevista anche la doppia colorazione. Dentro, alle linee orizzontali si affianca la grafica distintiva della consolle centrale, insieme a tante soluzioni pratiche, come i numerosi vani portaoggetti.

Una novità di Autostyle 2018 è stata la presenza di una due ruote: è stato compito di Andrea Ferraresi spiegare sia le problematiche generali del design di una moto, sia gli elementi specifici che caratterizzano la recente Panigale V4, presente nel parco; altro relatore era Clement Julien, ad appena 30 anni autore del design di Scrambler (addirittura abbozzata durante uno stage aziendale), Super Sport e, appunto, Panigale V4. Intanto, per disegnare una moto occorre considerare sia l’interazione moto-uomo, sia una perfetta conoscenza di come è fatta una moto tecnicamente, secondo le diverse tipologie -per Ducati Sportbike carenata come la V4 oppure Naked. Una Ducati deve essere sportiva, e quindi compatta, leggera e maneggevole, con il motore portante, ossia con ogni parte collegata partendo dal motore, anche nella linea di produzione. Ci sono angoli caratteristici, proporzioni che per Ducati sono canoniche, e anche uno specifico DNA del marchio sintetizzato con il motto «Reduce to the max»: niente è finto, a cominciare dal trattamento specifico e omogeneo di ogni tipo di materiale. Il design deve essere autentico, minimale, sensuale, e anche sportivo, quindi muscolare, aggressivo, aerodinamico e tecnico, e con una linea generale tendente ad arco che è segno immediato di sportività. Poi c’è l’uomo, il pilota: per le lunghissime prove in galleria del vento, in Ducati hanno addirittura manichini dalle forme simili a quelle degli attuali piloti, per gestire ogni dettaglio, tenendo conto che si debbono valutare situazioni come ad esempio le pieghe in curva, e che il mutamento di ogni singolo dettaglio ha conseguenze su tutto il resto. Infine, il design di una moto deve comprendere tutte le parti, perché quando la moto è in piega si vede la zona inferiore, e tutti i dettagli tecnici sono a vista, e devono avere uno specifico design. Quasi come un robot umanoide.

Ancora un designer giapponese, in questo caso il responsabile del design center di Suzuki Italia Hisanori Matsushima, ha raccontato l’altra icona tutto terreni presente nel piazzale: la nuova Suzuki Jimny, giunta come la RAV4 alla quarta generazione. Partendo dai tre rendering iniziali, sviluppati dopo aver interrogato utilizzatori della Jimny, o potenziali clienti, si è scelta la soluzione che prendesse come riferimento il meglio dalle tre edizioni precedenti. Il frontale ha i cinque elementi racchiusi in una mascherina e più evidenti, le dimensioni sono inferiori in lunghezza ma superiori in larghezza rispetto all’ultimo modello, e il design è solido, garantendo buona visibilità -anche grazie anche alla forma del finestrino anteriore- e con la comodità degli storici gocciolatoi; la particolare forma del tetto garantisce spazio interno ed è studiato anche per la neve, i grandi paraurti sono antigraffio mentre anche il fondo è antiurto: la Jimny vuole essere la compatta fuoristrada più piccola del mondo, e ha ancora il telaio a longheroni e le ridotte. I colori, a uno o due toni, ricordano situazioni tipiche della vettura: ad esempio, il giallo dei giubbotti di sicurezza, o il verde del bosco; gli interni, invece, sono impostati su linee rette, per avere l’immediata percezione dell’angolo laterale di pendenza, mentre i comandi sul volante, o quelli semplici della climatizzazione, permettono l’accesso alle principali funzioni in modo immediato.

L’ultima relazione è dedicata alla Dallara stradale, con Lowie Vermeersch di Granstudio per il design, ma in stretta collaborazione con Daniele Guarnaccia, ingegnere di Dallara, Un esempio di design nel quale si combinano stile e funzione, ma che corrisponde esattamente all’idea tecnica iniziale voluta da Giampaolo Dallara, ed esemplificato da un concept iniziale: «Pista e Dolce vita», per una vettura da tempo sul giro in pista ma anche da permettere di godere del «viaggio per il viaggio». Tra le caratteristiche, a parte l’ovvio utilizzo delle tecnologie d’uso del carbonio, la leggerezza dell’insieme (855 kg nel modello finale, a fronte di 820 kg di carico aerodinamico), il motore compatto in posizione centrale trasversale, e l’aerodinamica compresa anche nel fondo, e supportata nelle versioni più estreme da un grande alettone posteriore. L’assenza di portiere data dalla monoscocca ha garantito una maggiore rigidità -l’obiettivo era far entrare agevolmente l’ingegner Dallara, allora quasi ottantenne: è stata un’opportunità, perché ha permesso, dopo varie soluzioni intermedie, di sagomare la fiancata creando un flusso inferiore in grado di perfezionare l’effetto suolo ed evitare l’effetto di sollevamento dell’auto, attraverso un tunnel ricavato in un profilo ad S, detto «a piede di elefante». Anche l’abitacolo è ricavato dalla monoscocca, senza sedili ma con posti scavati e volante e pedali spostabili; il pilota si siede come in una vettura di formula «nose up», con i piedi più in alto della seduta, permettendo opportuni flussi anteriori. Le vetture in tutto saranno circa 600, per cui molte parti utilizzate provengono dalla produzione di serie: tra queste, i fari anteriori, compresi in un elemento unico, e quelli posteriori, che sono le luci nel paraurti di una Q7, alla stessa altezza. I volumi scavati nel posteriore variano in realtà a seconda dell’allestimento: nella piazza, oltre alla versione barchetta completamente scoperta, c’era anche una versione con parabrezza avvolgente, che da targa rende la Dallara stradale anche una coupé chiusa, con porte apribili solo nella parte superiore.

Tre cose a conclusione. La prima, le premiazioni dei ragazzi provenienti dalle sempre più numerose scuole di design internazionali, di cui abbiamo dato notizia in diretta nella nostra pagina Facebook: la novità di quest’anno è data dalla presenza di due nuovi membri della giuria tecnica, Klaus Busse, responsabile dello stile FCA, e Ian Cartabiano di Toyota ED2. Questi i premiati, impegnati a realizzare nuove parti di vetture di produzione, secondo la modalità produttiva di Berman: Urban cars e crossover e Sport cars: Adam MacKerron (Uk, Coventry University), vincitore di entrambi i premi; premio del pubblico: Francesco Palagi (Issam Modena); Menzioni per la creatività Auto & Design: Han Gu (Lund University, Sweden); Michail Kurlei (SPD, Milano). La seconda, la presenza delle ultime tecnologie di Wacom, a disposizione dei giovani aspiranti designer per una prova, non solo per lo sketching, ma anche per la modellazione virtuale 3D, di cui avremo presto modo di trattare. L’ultima: le auto presenti; nel sito ufficiale si trova l’elenco esatto delle vetture, interamente fotografate nella nostra galleria, e tra queste molte rarità, come le citate 488 Pista, Terzo Elemento e le due Dallara Stradale, la Pagani Huayra, la Ducati Panigale V4, un po’ di SUV alto di gamma come Lamborghini Urus, Maserati Levante, Alfa Romeo Stelvio, la recentissima Audi Q8 e la Jaguar I-Pace elettrica; i nuovi modelli Suzuki e Toyota, le più recenti Jeep compresa l’ultima Wrangler, diverse Mercedes alto di gamma, la nuova Peugeot 508 berlina, le più recenti creazioni Volvo, Fiat, Kia. Supercar a parte, una menzione speciale va alla sempre conturbante Mustang V8, che tiene alto il vessillo delle sportive pure, tra l’altro ad un prezzo relativamente basso rispetto alla concorrenza.

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