Citroen oli, la concept del nuovo corso Citroen e il suo design
Nell’ambito di un gruppo articolato e ricco di marchi dalla lunga, c’era il rischio di uno smarrimento di identità, per colpa delle condivisioni e delle economie di scala. Citroen non sembra correre questo rischio: anzi, anche rispetto ad un passato non troppo lontano, la specificità del marchio si fa sempre più netta, grazie ad innovazioni tecnologiche e ad alcune scelte coraggiose anche nel design. Dopo la nascita e la diffusione di Ami, in realtà apripista per alcune sorelle con marchi differenti, ma rispondente a specifiche esigenze del marchio, la nuova concept car Citroen oli rappresenta uno step successivo, e apre le porte ad un ulteriore sviluppo di alcune idee collegate da sempre alla Casa francese, ma ora sicuramente modernizzate e, almeno in questo caso, estremizzate.
La Citroen oli, vale a dire all-ë, totalmente elettrica, è in qualche modo una Ami a quattro posti, dalla quale però prende le distanze per diversi aspetti. Si parte dalle due vie della storia di Citroen: l’anima raffinata della DS, che ora è diventato un brand specifico del gruppo, e quella di auto per tutti originali, comode e anche un po’ stravaganti, rappresentato da 2CV e derivate. In qualche modo, proprio lo spirito della 2CV, con le dovute distinzioni, è presente nella nuova oli.
Adattandosi alle attuali esigenze di mercato, la oli si presenta come un SUV compatto -e in effetti il comunicato stampa declina tutto al maschile, anche se noi preferiamo considerarla comunque “automobile” in senso dannunziano. Le misure non lasciano spazio a dubbi: 4,20 m di lunghezza, 1,65 m di altezza e 1,90 m di larghezza. Ruote alte, ma anche strette: un omaggio alla 2CV, ma anche una logica applicazione dei principi della vettura utilitaria. Nella oli tutto quel che c’è sarà anche singolare nelle forme, ma sicuramente necessario e sufficiente: l’obiettivo è abbassare i costi, ottenendo il massimo della funzionalità. In sostanza, le “quattro ruote con un ombrello”.
La oli è alta da terra, e ha parafanghi e protezioni laterali per la salvaguardia della parte bassa della carrozzeria. Le porte anteriori sono semplicissime e di fatto simili nei due lati, anche se qui, a differenza della Ami, le porte sono entrambe incernierate anteriormente. Ci sono però anche due mezze porte posteriori, che consentono di aumentare l’abilitabilità riducendo i costi, mentre la finestratura laterale, grazie alla luce posteriore e alle pieghe dei vetri, alleggerisce la fiancata. Di grande effetto è il parabrezza orizzontale praticamente verticale: l’aerodinamica di certo non gradirà, però il vetro è basso, e lo spazio in avanti dell’abitacolo è sfruttato al massimo, come pure la superfice superiore del cofano anteriore, praticamente orizzontale. Il vetro verticale costa molto di meno, e può essere molto ridotto in altezza garantendo il massimo dello spazio interno; va detto, a onor del vero, che c’è un sistema che permette di deviare i flussi d’aria sopra il tetto in movimento, ma anche che i designer hanno pensato ad una vettura «lenta», che non supera i 110 km/h. La piega dei finestrini ha funzioni soprattutto di irradiazione della luce, ma le forme suggeriscono l’uso insolito delle vetrature insolite della prima Ami di Bertoni, soprattutto il lunotto posteriore «invertito».
Nel cofano anteriore, così come in coda e nel tetto, è ricavato un ripiano in cartone alveolare riciclato e opportunamente trattato, che consente un utilizzo nuovo di queste aree, a metà strada tra un tappeto e un pavimento calpestabile: la memoria va al fondo piatto della Mehari in ABS, ma qui con possibilità estese su tutta la vettura. Il frontale prosegue l’impostazione geometrica dell’insieme, con luci a LED a forma di C squadrata, che ritroveremo sulle future Citroen, e il nuovo logo che è anche identità di marca, e guarda caso si ispira agli chevron tradizionali delle prime auto della Casa, quelli che comparivano anche nei segnali stradali di Francia. Da notare che questo logo da ovale si trasforma in circolare, sempre rosso, e disegna il centro delle ruote nere, mostrandoci un suo possibile futuro utilizzo nelle prossime auto di serie. Il tetto, come abbiamo detto, è calpestabile, mentre la parte posteriore è aperta, con una ribaltina: una specie di pick-up corto, dotato di un’interessante e singolare capacità di carico, con una formula pratica e inedita per un SUV compatto. La simmetria bilaterale e il parabrezza piatto potrebbero ingannarci per quel che riguarda il senso di marcia, che però è inequivocabile: il montante posteriore sfuma sulle luci orizzontali come in una compatta coupé, e anche in coda ricompare il logo ovale, con una zona inferiore uguale a quella anteriore, che ricorda certe soluzioni all’avanguardia degli anni ’70, prima dell’epoca della plastica. Tutto concorre alla riduzione del peso, e dei costi, come nell’Ami elettrica.
Il parabrezza piatto è circondato da una cornice rosso arancio, anche questo un colore anni ’70 che ritroveremo in futuro, e che costituisce un ponte di collegamento con gli interni. Anche qui, un paio di lezioni Citroen del passato: la 2CV per l’essenzialità dell’insieme, da plancia-marsupio e strumentazione essenziale ai sedili sottili, ma anche un po’ di Diane e Mehari per i colori chiari e giovani. L’interno, in effetti, è tanto semplice quanto funzionale, anche per lo spazio ottenuto: il design consente di semplificare al massimo le forme, e ricavare il massimo spazio possibile, ad esempio per le sedute, spostate in avanti grazie al singolare parabrezza, oppure per la vicinanza dei sedili anteriori, che ricordano lo spazio offerto dalla tipica cloche Citroen sulla plancia, e dai sedili sottili e a rete. L’interno, come nella Mehari, è lavabile, mentre l’elettronica è costituita semplicemente da uno smartphone, il cui schermo è proiettato su tutta la plancia: qui un sistema per ottenere il massimo dell’efficacia nell’essenzialità, ma in prospettiva quello che si cercherà nell’elettronica di un’auto, capace di riprendere tutto quanto è già configurato quotidianamente a modo nostro.
La modernità tecnologica si esprime anche nell’uso dei materiali riciclati e riciclabili, e ovviamente dal propulsore elettrico: con un peso di 1.000 kg, la sua autonomia è di 400 km, con velocità limitata a 110 km/h, e capacità di ricarica dal 20 al 80% in 23 minuti. C’è anche un dispositivo elettrico che permette di commutare l’elettricità verso la rete, l’abitazione o un accessorio: con il sistema «Vehicle to Load» (V2L), la batteria da 40 kWh e la presa di corrente da 3,6 kW si può alimentare un apparecchio elettrico da 3.000 W per circa 12 ore.
Alcune considerazioni del designer Pierre Leclercq, direttore del Design di Citroën.
«Citroën ha una purezza che altri Brand non hanno. È molto più difficile progettare un oggetto che sia puro e unico in sé, piuttosto che creare qualcosa di eccessivamente complicato. Pensate a veicoli iconici come il nuovo Ami o la 2CV: silhouette immediatamente riconoscibili come delle Citroën che, grazie al loro pragmatismo, possono anche vivere più a lungo.»
«Non abbiamo paura di mostrarvi come viene assemblato il veicolo, in modo che si possano vedere telai, viti e cerniere, ad esempio. Puntare sulla purezza ci permette di progettare in modo diverso e di mettere in discussione tutto. Con oli, abbiamo adottato un approccio meno automobilistico, e sono questa purezza e ingegnosità che ispireranno il nostro linguaggio di design nei prossimi anni.»
«Nel design industriale ti viene detto continuamente: ” Non dirmi che è bello, deve essere funzionale “. Quando abbiamo intrapreso il progetto di Citroën oli, ci siamo assicurati che la forma seguisse assolutamente la funzione, proprio come avviene per gli elettrodomestici o i veicoli commerciali. L’esterno di un veicolo si basa sulla sua architettura interna, e questo è importantissimo perché non si possono realizzare solo linee attraenti all’esterno senza considerare l’esperienza che si vuole far vivere alle persone all’interno.»
«Tutti gli elementi progettuali chiave di oli sono perfettamente orizzontali o verticali, e questo è un aspetto che abbiamo voluto sperimentare. L’approccio classico prevede linee dinamiche, quindi non molti altri costruttori di veicoli oserebbero fare quello che abbiamo fatto noi. Ma noi cerchiamo purezza ed efficienza nel linguaggio delle forme.»